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sotto la tenda di Abramo

Ivo Saglietti – Sotto la tenda di Abramo

La mostra fotografica racconta del dialogo possibile e necessario tra le religioni e gli uomini attraverso l’esperienza comunitaria dell’antico monastero siro antiocheno Deir Ma Musa el-Hadasci (San Mosè l’Abissino), luogo di ospitalità e di scambio interreligioso cattolico e musulmano abbarbicato sulle montagne della Siria, nella comunità fondata da padre Paolo dall’Oglio. 

I monaci fotografati da Saglietti sono uomini e donne di diverse chiese e di diversi Paesi, che sperimentano quotidianamente le difficoltà e la ricchezza della diversità, dimostrando che Dio è uno e si può vivere insieme nella sua fede, indipendentemente dalla religione che si professa. Il bianco e nero intenso di questo lavoro, che documenta dall’interno la vita della comunità nel suo quotidiano, ben rappresenta il contrasto di luci e ombre di due mondi in perenne conflitto ideologico, che nell’enclave di Deir Mar Musa el-Habasci trovano invece un luogo di dialogo e di costruttivo confronto.

Come è nato il progetto?
“Il progetto – racconta Ivo Saglietti – nasce per caso quando a Roma nel 2002 conosco Padre Paolo Dall’Oglio che mi racconta di questo monastero. Amo il deserto da sempre ed ho quindi espresso il desiderio di visitare quel luogo e magari realizzare qualche scatto fotografico. Padre Dall’Oglio acconsente e dopo aver proposto l’idea all’agenzia foto giornalistica tedesca Zeitenspiegen Reportagen, parto insieme a Tilman Wörtz, scrittore e giornalista dell’agenzia stessa. Il primo viaggio è durato tre settimane e senza dubbio si è trattato del periodo basilare per il progetto. Sono rimasto particolarmente affascinato dalle atmosfere e anche da Padre Paolo, una persona estremamente intelligente, colta ed amichevole. Al ritorno pubblichiamo il primo reportage, dopodiché, si decide di realizzare un libro”.

Quanto è durato l’intero reportage?
“Tra il 2002 e il 2004 ho fatto altri sei viaggi della durata di circa 15/20 giorni ciascuno. Le immagini mettono in risalto i tre aspetti fondamentali della vita nel monastero: il dialogo interreligioso, l’accoglienza e la preghiera.

La luce all’interno del monastero era molto ridotta, passava solo attraverso piccole fessure, a volte si trattava solamente di raggi ma ciò ha permesso di realizzare immagini molto suggestive, emotive e profonde. Nessuna foto è stata costruita, non ho mai chiesto a nessuno di mettersi in posa, ho lavorato con una piccola e silenziosa macchina fotografica. Mi sono sentito sempre molto libero nel mio lavoro e c’è sempre stata una bella sintonia tra me e gli ospiti del monastero, ero diventato uno di loro e non mi sono mai sentito un estraneo.”

Che ricordi conserva di Padre Paolo Dall’Oglio rapito ormai dieci anni fa e di cui non si sa più nulla?
“Con Padre Paolo è nata una grande amicizia, ci sono stati momenti di intimità in cui si chiacchierava di tante cose, erano momenti profondi e mi manca tantissimo.

Mi raccontò che era arrivato in Siria perché voleva imparare l’arabo, secondo lui  è il luogo dove si impara meglio rispetto a tutto l’Oriente. A Damasco alcuni amici gli parlarono del monastero abbandonato, decise così di andare a visitare il luogo. Provò un’emozione così intensa che decise che quello era il posto dove Dio lo aveva portato. Il monastero era semidistrutto e lui insieme alla gente del posto, pietra dopo pietra, lo ha ricostruito ed ampliato.”

Qual è il senso filosofico, il valore morale del monastero?
“Il monastero è diventato un luogo di ospitalità, di incontro e dialogo tra le religioni. Viene condivisa un’idea di pace, la possibilità di convivenza tra cristiani e musulmani.

Alcune parole di Padre Paolo Dall’Oglio, dall’introduzione del libro di Ivo Saglietti, Sotto la tenda di Abramo. Deir Mar Musa el-Habasci. (Editore: Peliti Associati)
Dal ’91 siamo qui a tempo pieno. È nata una piccola comunità consacrata all’amicizia seria e profonda con i musulmani e con l’Umma dell’Islam. E l’amicizia ti cambia dentro; ti rimpasta nella relazione sociale, culturale e spirituale. Si tratta, per dirla con Massignon, di inserirsi nella linea di destino dell’amico. Siamo uomini e donne di diverse chiese e diversi paesi. Sperimentiamo e patiamo la ricchezza della diversità. L’ascesi del dialogo, l’estasi dell’armonia…

Fin dal tempo del Profeta Muhammad, il monastero nel deserto ha svolto una funzione socio spirituale nota, apprezzata e rispettata nel mondo musulmano. Noi abbiamo voluto riscoprire tale funzione d’ospitalità e riproporla in modo più esplicito e cosciente, la tenda dell’accoglienza è diventata un luogo simbolico di incontro con la popolazione della regione; si viene in famiglia il venerdì e poi ci si ferma a mangiare all’entrata della valle. A volte organizziamo degli incontri interreligiosi a tema cercando la mutua comprensione e partecipando degli stessi desideri di democrazia e giustizia ed insieme sperimentando l’efficacia della dimensione spirituale in comuni momenti di preghiera. Questo ci porta poi a restituire la visita andando a nostra volta nei centri islamici e nelle moschee. Per tutti noi è essenziale sentire che ci dissetiamo ad una stessa sorgente spirituale anche se ciascuno offre con franchezza la testimonianza della propria tradizione. Si è creata come una cerchia di amicizie islamocristiane che ci riempie di speranza per un futuro diverso da quello dei telegiornali. Si potrebbe fare molto di più ma le energie sono quelle che sono, certo è che il desiderio di incontro è forte e reciproco.

BIOGRAFIA

Ivo Saglietti è nato a Toulon, in Francia. Inizia la propria attività a Torino come cineoperatore, producendo alcuni reportages di tipo politico e sociale. Nel 1975 inizia ad occuparsi di fotografia, lavorando nelle strade e nelle piazze della contestazione e nel 1977 si trasferisce a Parigi. Da qui iniziano i suoi viaggi come reporter-photographe, dapprima con agenzie francesi, in seguito per conto di agenzie americane e per magazines internazionali (Newsweek, Der Siegel, Time, The New York Times), per i quali “copre” in assignement situazioni di crisi e di conflitto in America Latina, Africa, Balcani, Medio Oriente.

Nel 1992 conquista il premio World Press Photo (nella categoria Daily Life, stories) con un servizio su un’epidemia di colera in Perù e nel 1999 la menzione d’onore allo stesso concorso per un reportage sul Kosovo. Nello stesso tempo inizia a lavorare su progetti a lungo termine: “Il Rumore delle Sciabole” (1986-1988), suo primo progetto e libro, documenta la società cilena durante gli ultimi due anni della dittatura militare del Generale Augusto Pinochet. Successivamente si rivolge sempre di più verso progetti personali di documentazione che gli permettono di affrontare una storia in modo più articolato e meno condizionato dalle esigenze e richieste dei settimanali, come nel reportage che ripercorre la via della tratta degli schiavi dal Benin alle piantagioni di canna da zucchero della Repubblica Dominicana e di Haiti, o come in quello sulle tre malattie che devastano i paesi del terzo mondo – aids, malaria e tubercolosi – realizzati negli anno Novanta e Duemila.

Dal 2000 è membro associato dell’agenzia foto giornalistica tedesca Zeitenspiegen Reportagen, per la quale sta lavorando ad un progetto sulle frontiere nel Mediterraneo e Medio Oriente.

PREMI E RICONOSCIMENTI

1992:World Press Photo. Amsterdam
1999: World Press Photo. Amsterdam
2010: World Press Photo. Amsterdam
1996: Fotografi al Servizio della Libertà. L’Aquila
2000: M.I.L.K. Moments of Intimacy. Australia
2006: Premio Enzo Baldoni per il giornalismo. Milano
2006: Fotografo dell’Anno. Lucca. DPF
2010: Premio Bruce Chatwin, Occhio Assoluto. Genova

www.ivosaglietti.com